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giovedì 29 novembre 2018

RECENSIONE E ANALISI: Il Signore delle mosche di William Golding


Usare il mondo dei piccoli per parlare del mondo dei grandi.

 

TITOLO: Il Signore delle mosche
AUTORE: William Golding
PAGINE: 250

TRAMA:
Un gruppo di ragazzi inglesi, sopravvissuti a un incidente aereo, resta abbandonato a se stesso su un'isola deserta e si trasforma in una terribile tribù di selvaggi sanguinari dai macabri riti.
Le emozioni, in questo romanzo, ci sono tutte. Poi ci sono coraggio, dolore e piacere. La protagonista è l'ombra. L'ombra da cui ognuno di noi cerca di fuggire, ma che poi ci prende. Ma cosa fare quando la tua parte nascosta finisce dentro il corpo della persona che ami? Forse, non resta che mollare le cime dal pontile e salpare verso la follia. E qual è la follia? Quella di ritrovarsi all'Inferno senza aver peccato? Oppure affidarsi a un sistema non strutturato per la presa in cura, che si affida alla tecnica, che non approfondisce e non si pone troppe domande? In questo romanzo il tempo sembra scandire la vita, ma il tempo qui non c'è. La vita ha un sapore magico e nella vita c'è qualcosa di più forte di tutte le emozioni e di tutti i sistemi, un amore, qualcosa che va contro la morte. Qualcosa che non muore. 
  


RECENSIONE E ANALISI (con spoiler):

In un mondo straziato da una guerra atomica, un aereo precipita su un isola deserta: i superstiti sono solo bambini dai tredici anni in giù. Nessun adulto con loro, nessuna guida, nessuna legge.

Questa è la premessa de Il Signore delle mosche.
In un’atmosfera che potremmo oggi definire “sospesa tra Lost e i migliori romanzi d’avventura”, Golding ci accompagna, tenendoci per mano, nel vero mondo dei bambini, quello fatto di giochi, spensieratezza e divertimenti, ma che in realtà cela tutte le insicurezze, le paure e le atrocità del mondo dei grandi. Quello stesso mondo dei grandi da cui alcuni di questi bambini cercano di distanziarsi e verso cui altri, invece, continuano a tendere.


I protagonisti del racconto sono tre, e dal loro confronto nasce la vicenda.
Ralph è il più grande tra tutti: atletico, bello, intelligente, anche se abbastanza solitario e taciturno.
Piggy, così soprannominato in modo scherzoso perché grasso, è per nulla carismatico, ammorbato dai suoi difetti fisici e per questo costantemente preso in giro dagli altri bambini; rappresenta però la voce della ragione, il portatore del sapere scientifico, il grillo parlante di questo dramma.
E infine abbiamo Jack, forse l’unico veramente carismatico, capo classe e capo della banda al tempo del collegio, ora autoproclamato capo dei cacciatori, l’unico che possa realmente tenere testa a Ralph; tuttavia sin dalle sue prime battute capiamo che in lui c’è qualcosa che non va, in lui si annida il germe della follia, quello che lo porterà a distaccarsi dagli insegnamenti dei grandi per riavvicinarsi alla “natura”, con tutte le conseguenze che ciò provocherà.

mercoledì 9 maggio 2018

RIVERDALE: dramma Black Hood

Buongiorno a tutti!

Di solito non parlo mai di serie tv, se non in alcune rare occasioni in cui mi sento in dovere di farvi conoscere qualcosa che mi ha colpita particolarmente. Quelli sono sempre post "seri" e di consigli... mentre oggi no. Oggi non è così. Questo è un post di sfaso sfogo: ho bisogno di confrontarmi con qualcuno su questo argomento. Ho bisogno di sapere cosa ne pensate.

Di cosa sto parlando? Di Riverdale, amici miei.
Vi avviso che da qui in avanti potrebbe esserci RISCHIO SPOILER (involontario), perciò se conoscete la serie e non volete nessuna anticipazione forse dovreste smettere di leggere. Se, invece, siete molto curiosi e/o pensate che potrebbe interessarvi scoprire qualcosa di questa storia, proseguite pure. Non farò spoiler giganteschi, prometto.




Allora, cominciamo dall'inizio, da quanto tutto è iniziato.
Riverdale, cittadina graziosa quanto dannata, nasce dai fumetti di Archie Comics e compare sul grande schermo nel 2017 per The CW.
Nel cast (a dir poco fenomenale) incontriamo Cole Spouse (ve lo ricordate Cody di Zack e Cody? Ecco, adesso è mooolto mooolto più figo), Lili Reinhart, Camila Mendes, KJ Apa e Luke Perry (guardavate Beverly Hills 90210? Beh, lui era Dylan).

venerdì 13 aprile 2018

PENSIERI DI EMME su... LE RECENSIONI: tra limiti e opportunità per autori e lettori.


Per iniziare...

Qualche settimana fa la non-redazione di “Vuoi conoscere un casino?”si è vista accusata, in una accesa discussione con un autore, d’essere deficitaria di competenza e professionalità nel recensire le favolose opere che un qualunque sedicente Stephen King o J.K. Rowling in erba (là dove l’erba è molta, ma non è dei prati…) ha scritto.
Sulla base di quella discussione ho riflettuto parecchio arrivando a formulare alcune opinioni circa le recensioni e la loro utilità per scrittori e lettori e oggi, grazie a questo lungo post, cercherò di dar sfogo alla mia natura prolissa e offrirvi i risultati delle mie elucubrazioni.


 


Capiamo il perchè…


La domanda da cui sono partito è stata: “Perché facciamo recensioni? Perché (soprattutto Alex) perdiamo ore e ore di tempo a scrivere, argomentare, leggere, recensire, correggere, litigare con Blogger per l’impaginazione etc.?”.
La risposta del mio io interiore è stata: “Abbiamo una passione, la lettura, e amiamo parlarne. Il blog diviene dunque il mezzo che ci permette di raggiungere quante più persone che, con noi, condividono il medesimo interesse. Amiamo leggere sì, ma amiamo anche parlare di libri, viverli, discuterne, conoscere pareri, siano essi conformi ai nostri o (meglio ancora) difformi. Amiamo il confronto e l’interazione con gli altri. Ecco perché scriviamo su un blog.”
Con questa premessa è fondamentale chiarire un punto: leggere, e recensire di conseguenza, è un hobby, un qualcosa che amiamo fare nel tempo libero, nessuno di noi lo fa di lavoro e nessuno di noi ha le reali competenze per farlo. Lo facciamo senza la pretesa di essere delle istituzioni in merito (pur ricoprendo un ruolo talvolta istituzionale). Non abbiamo affrontato nessun corso di studi che si focalizzasse sulla critica e, quindi, ogni nostra recensione nasce da quella che è una commistione tra gli studi di letteratura affrontati durante il nostro percorso scolastico, il gusto personale e letture pregresse, che creano quello che potrebbe definirsi il nostro bagaglio culturale letterario. L’amalgama di questi tre ingredienti, insieme, vanno a formare quella che è la nostra identità critica di lettori, che di fatto è poi la parte di noi che va a confrontarsi con l’ opera che vogliamo, e/o  a volte dobbiamo, recensire.


domenica 5 novembre 2017

RECENSIONE DOPPIA: Fra me e te di Marco Erba

 Recensione a due voci 

 

Impressioni e riflessioni di due sorelle: Marta e Alex commentano il primo libro di Marco Erba, a tema adolescenza. 




TITOLO: Fra me e te
AUTORE: Marco Erba
EDITORE: Rizzoli
PAGINE: 387

TRAMA:
Edo è arrabbiato. Detesta i suoi professori - Voldemort, la Frigida, il Cetaceo. Non ha veri amici. Odia Cordaro, la sua città. Perché è caotica e sporca, ma soprattutto perché è piena di stranieri. E lui gli stranieri non li può vedere, in particolare i cinesi. Finché non incontra Yong. Chiara è una brava ragazza, fa volontariato, ha voti altissimi a scuola. Tiene un diario intitolato Memorie di un bruco sognatore. Per gli adulti è una da additare come esempio, per i suoi compagni è troppo seria. Finché non scopre Facebook. Raccontata a due voci, una storia che impasta amore, amicizia, pregiudizio; che fa emozionare, ricordare, sognare; che scatta una fotografia nitidissima della vita tra i social network, la scuola, i genitori; che mette a nudo il razzismo dei finti forti e il coraggio dei fragili. Che fa diventare adolescente anche chi non lo è mai stato.





RECENSIONE MARTA:

Fra me e te non è un libro che ha ottenuto fin da subito la mia approvazione: le prime pagine non hanno catturato in alcun modo la mia attenzione, anzi, mi è quasi venuta voglia di interrompere la lettura. Fortunatamente non l'ho fatto: i capitoli successivi si sono rivelati più interessanti, scorrevoli e piacevoli.
Mi è piaciuta molto l'idea dell'autore di portare avanti due storie e due personaggi diversi, con sentimenti e pensieri differenti. Sinceramente, però, devo dire che ho preferito di gran lunga il personaggio di Edo, forse per la sua maggiore ironia... A volte, infatti, ho trovato Chiara un po' troppo lamentosa.  D'altra parte, di entrambi mi è sembrato inverosimile il cambio repentino di comportamento: i due "migliorano" troppo in fretta. Avrei preferito un maggiore approfondimento della loro crescita.
Aggiungo che non sono riuscita a entrare in sintonia nè con Chiara nè con Edo, anche se questo, penso, fosse proprio l'effetto desiderato dell'autore: Marco Erba ha, forse, voluto sottolineare come gli adolescenti spesso assumano comportamenti sbagliati... Quindi quale modo migliore per trasmettere questo concetto, se non rappresentare due ragazzi che "danno fastidio" anche ai ragazzi?
Comunque, chiederò una spiegazione all'autore nell'intervista che gli faremo a breve :)

  
ALCUNE PAROLE CHE HO AMATO:

- Sono due, perché rappresentano il legame fra me e te. Un legame indistruttibile - mi ha detto papà quel giorno. - Io ci sarà sempre per te. Quando lo vorrai potremo essere insieme. Come queste due tartarughe.-



domenica 6 agosto 2017

PAPER LAST WORDS



Avete letto "Cercando Alaska" di John Green? Vi ricordate la grande passione di Miles per le "ultime parole"?
Per chi non sapesse di cosa sto parlando, ora vi spiego tutto :)

Miles ama le citazioni... Ma, soprattutto, ama le ultime parole delle persone: quelle poche parole che precedono la fine della vita di una persona, quelle che sono "le ultimissime", quelle parole dopo le quali non ce ne saranno più. Possono essere frasette appena sussurrate, slogan gridati a squarcia gola, urla di battaglia, dichiarazioni d'amore, banalissime domande di vita quotidiana... Parole diverse attirano l'attenzione di Miles... Però, sono sempre, tutte, le ultime.

Da quest'idea ci siamo ispirate per creare questa rubrica: vi proponiamo delle ultime parole: non pronunciate da persone in carne e ossa, bensì stampate sulla carta.
Come autori e autrici concludono i loro romanzi? Come i personaggi si congedano dal pubblico? Sono ironici, seri, descrittivi, emotivi, romantici, violenti...?

Con questa rubrica vi presenteremo le ultime righe dei romanzi della nostra libreria (tre alla volta, una pubblicazione al mese).

Lasciateci pure commenti e opinioni, e/o consigliateci pure qualche finale di romanzo particolarmente intrigante:)







Ecco le "Paper Last Words" di questa prima pubblicazione. 



  • L’ultimo angelo, di Becca Fitzpatrick

“ Nella nostra stanza accogliente e lontana da occhi
indiscreti, allungai le mani e gli disfai il nodo del farfallino di seta.
«Sei uno schianto con questo smoking» gli sorrisi con approvazione.

«No, angelo.» Si chinò su di me e mi mordicchiò teneramente un orecchio. «Sono uno schianto senza.»"




  • La bambina che salvava i libri,
    di Markus Zusak

“ULTIMA POSTILLA DALLA VOSTRA NARRATRICE:
Sono perseguitata dagli esseri umani.”




  • Teorema Catherine, di John Green 

 “Colin sentì, vivo sulla pelle, il legame con tutti quelli che stavano nella macchina, e con tutti quelli che erano fuori. E si sentì non-unico nel miglior senso possibile.”




Alex


martedì 1 agosto 2017

TREDICI: libro vs serie tv


"The only way to learn the secret... is to press play."


Dopo diverse settimane di suppliche da parte di una mia amica, anch’io ho deciso di guardare una delle serie tv più discusse dell’ultimo periodo: Thirteen reasons why (Tredici).
Poi, come compito per le vacanze estive, il nostro prof di italiano ci ha affidato la lettura del libro di Jay Asher. 


TITOLO: Tredici
AUTORE: Jay Asher 
PAGINE: 229
EDITORE: Mondadori
ISBN-13: 978-8804677147


TRAMA: 

"Ciao a tutti. Spero per voi che siate pronti, perché sto per raccontarvi la storia della mia vita. O meglio, come mai è finita. E se state ascoltando queste cassette è perché voi siete una delle ragioni. Non ti dirò quale nastro vi chiamerà in causa. Ma non preoccupatevi, se avete ricevuto questo bel pacco regalo, prima o poi il vostro nome salterà fuori... Ve lo prometto." Quando Clay Jensen ascolta il primo dei nastri che qualcuno ha lasciato per lui davanti alla porta di casa non può credere alle sue orecchie. La voce che gli sta parlando appartiene ad Hannah, la ragazza di cui è innamorato dalla prima liceo, la stessa che si è suicidata soltanto un paio di settimane prima. Clay è sconvolto, da un lato non vorrebbe avere nulla a che fare con quei nastri. Hannah è morta, e i suoi segreti dovrebbero essere sepolti con lei. Ma dall'altro, il desiderio di scoprire quale ruolo ha avuto lui nella vicenda è troppo forte. Per tutta la notte, quindi, guidato dalla voce della ragazza, Clay ripercorre gli episodi che hanno segnato la sua vita e determinato, in un drammatico effetto valanga, la scelta di privarsene. Tredici motivi, tredici storie che coinvolgono Clay e alcuni dei suoi compagni di scuola e che, una volta ascoltati, sconvolgeranno per sempre le loro esistenze. Ora è anche una serie televisiva prodotta da Netflix.



COMMENTO:

Il libro di 13 non mi ha entusiasmata particolarmente.
Si tratta di un romanzo importante e serio per l’argomento trattato, il suicidio, eppure non è uno di quei libri che mi sono rimasti impressi nel cuore.
Non mi piace la struttura adottata dallo scrittore: tra le pagine vi è un continuo alternarsi tra le parole registrate di Hannah Baker, scritte in un carattere, e i pensieri di Clay Jensen, riportati con un carattere differente: è troppo confusionario, le parole di uno e i pensieri dell’altro rischiano di confondersi. Che sia volontario? Io non ho apprezzato molto questa scelta.
Inoltre, nel libro, Clay ascolta tutte e tredici le cassette una di seguito all’altra nell’arco della stessa nottata, quindi non ha il tempo di riflettere, di pensare e di rielaborare a lungo le parole di Hannah. Clay non può nemmeno conoscere o vedere gli effetti che le cassette hanno avuto su tutti coloro che sono coinvolti nel suicidio della ragazza, si limita a immaginare la situazione in modo molto vago e frettoloso. Il protagonista, secondo me, non ha abbastanza tempo per vivere davvero le cassette e rimanerne profondamento segnato e provato. L'opera mi avrebbe colpita di più se l'autore avesse dedicato più spazio ai suoi
pensieri e alle sue riflessioni per lasciarci capire davvero ciò che Clay ha provato nel sentire le parole d'addio della ragazza di cui era innamorato. Purtroppo non è così: non conosciamo le ripercussioni psicologiche ed emotive che presenta il protagonista. Va bene, Clay è scioccato, disperato, si sente in colpa per la morte di Hannah, però… Nei giorni successivi cosa fa? Come si comporta con se stesso? E, soprattutto, con gli altri coinvolti? Nei corridoi della scuola li guarda con odio o li ignora?
Secondo me, lo “sbaglio” dell’autore è stato proprio non mostrare al lettore il mondo di Clay e di tutti i ragazzi coinvolti nel suicidio, considerato che l’obiettivo delle cassette era proprio di “puntare il dito contro qualcuno”, di far sentire colpevoli i soggetti delle registrazioni, farli render conto di ciò che avevano fatto e, magari, di renderli delle persone migliori. Io interpreto così le registrazioni di Hannah… Altrimenti perchè realizzare delle cassette? E invece no, Clay ascolta le cassette, torna a scuola e non incontra nessuno tra tutti coloro che hanno causato la morte di Hannah Baker.
L’autore non dice niente nemmeno dei genitori della ragazza se non “hanno lasciato la città”. Cavolo, loro figlia si è suicidata… Io avrei voluto conoscere anche i lori pensieri, le loro emozioni. Invece, dato che il libro inquadra solo Clay, ciò non è possibile.
Sempre per la stessa ragione, anche il personaggio di Tony rimane troppo avvolto nel mistero e non si capisce bene il motivo per cui Hannah gli abbia affidato il compito di rendere pubblica la seconda scatola di cassette nel caso il giro della prima non fosse terminato.
In sostanza? Bel libro, ma, secondo me, manca qualcosa.


“But you can't get away from yourself. You can't decide not to see yourself anymore. You can't decide to turn off the noise in your head.”



In molti casi la trasposizione su schermo di una storia non rende tanto quanto il libro, in molti casi l’essenza delle pagine scritte viene dispersa. Invece, per quanto riguarda Tredici, io, personalmente, ho preferito la serie tv: è riuscita a prendermi molto di più, a coinvolgermi. Ciò che mi ha colpito di più nella serie è la possibilità di vedere gli effetti deleteri che le cassette hanno su Clay: sul piccolo schermo, il ragazzo impiega due settimane a sentire le registrazioni, e così si può osservare e  capire lo stato di disperazione, di shock e quasi di pazzia in cui il protagonista cade dopo aver ascoltato le parole della ragazza. Hannah voleva far sentire colpevoli gli altri, ferirli e nella serie tv si può vedere un Clay ferito, sofferente. Inoltre, la trasposizione su schermo affronta e approfondisce anche la reazione dei genitori di Hannah, il comportamento dei vari personaggi e il mutare delle loro relazioni. La storia nella serie tv è più “piena”, più ricca e completa. L’attenzione si sposta da Hannah e Clay a tutti gli altri personaggi.
La serie tv è molto più eclatante rispetto al libro, le cause che portano Hannah al suicidio, in alcuni casi, sono più gravi, di maggior spessore, e lo stesso vale per il modo in cui Hannah si suicida (nel libro pillole e nella serie tv si taglia le vene con delle lamette). Lo so, tutto ciò è sicuramente dovuto al fatto che la serie tv deve riuscire a tenere l’attenzione dello spettatore e lasciarlo talmente colpito da invogliarlo a continuare, deve intrigarlo… Ma d’altra parte, volendo trattare un argomento così complesso come il suicidio, trovo giusto voler cercare di segnare il più possibile lo spettatore, per poterlo render cosciente del massimo dramma a cui una situazione simile potrebbe portare.
In sostanza? La serie tv ha quel qualcosa in più che manca al libro.


“I wanted people to trust me, despite anything they'd heard. And more than that, I wanted them to know me. Not the stuff they thought they knew about me. No, the real me. I wanted them to get past the rumors. To see beyond the relationships I once had, or maybe still had but that they didn't agree with.” 

“I’m sorry.” Once again, those were the words. And now, anytime someone says I’m sorry, I’m going to think of her.”  



Marta
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