sabato 19 novembre 2016

Lettera di un suicida

Oggi vi propongo un testo che ho scritto in seguito a una conversazione avuta con un mio amico.
Il tema? Le parole uccidono.
Quindi, vi prego, prestate sempre molta attenzione a ogni singola lettera che pronunciate.
Non me la sento di scrivere altro.
Buona lettura e grazie.

Alex



Caro lettore,

non so chi tu sia… Potresti essere la mamma, o mio padre, o la Miki o una persona a caso che ha trovato questo foglio prima di chiunque altro. Vorrei che tu fossi la Miki, perché lei mi sentirebbe meglio degli altri. Capirebbe? Non lo so, spero di sì… Però sono sicuro che lei mi sentirebbe per davvero.
Ma non sapendo chi tu sia, ti chiamo“lettore”. Scusa se sembra un appellativo un po' freddo, non voglio essere freddo, davvero, credimi.

Allora, lettore, volevo solo dirti che sono stanco. Sono tanto tanto stanco. Stanco di fallire di continuo. Sai, io mi impegno sempre, ci metto l’anima nelle cose che faccio… Eppure vengono tutte così male. Perchè? Nella vita vorrei eccellere, vorrei che al mio impegno corrispondesse un pari risultato. Vorrei che voi tutti poteste essere fieri di me, fieri e orgogliosi di chi sono diventato. Vorrei essere un vincente allo sguardo di tutti, vorrei che mio padre mi dicesse “Bravo, figliolo.” E invece no, sono un fallito. Non un fallito nel vero senso della parola… Sto sempre nel mezzo, nel mezzo della massa, sono abbastanza per essere promosso, ma non abbastanza per essere definito “ un bravo studente”. Capisci? Sono sempre sul sei, quando va bene sei e mezzo, quando va male cinque e mezzo. Sempre. In tutto quello che faccio. Sono mediocre. E io odio essere mediocre. Odio stare lì, odio non poter volare in alto. Il mio corpo è un limite stupido. La mia mente è un limite stupido. Mi sento maledetto dal diavolo. Come se qualcuno si stesse prendendo gioco di me. Ho paura di me per il futuro. Tutti mi ripetono “Datti da fare, insegui il tuo sogno”. Io non ho un sogno, non so che sogno posso permettermi, non ho trovato nulla in cui io sia bravo, davvero molto bravo, non so che strada prendere, non so dove andare, verso che meta. Vago a tentoni nel vuoto. Continuo a sbattere contro i muri. Ho bisogno di svegliarmi la mattina e sapere cosa devo fare, come devo farlo e, soprattutto, perché. Perché io sto vivendo? Per fare bene a chi? Per la felicità di chi? La mia, no di certo. Tutti continuano a dirmi che non ho tempo, che devo darmi una mossa, che dai dai dai dai dai, devo fare in fretta. “Non puoi più sbagliare”, mi dicono. E io sbaglio. E loro ridono.

Sono stanco di te, Padre, che ogni giorno mi urli contro per cose stupide, per insignificanti errori, sono stanco di sentirmi uno schifo per tutto quello che mi dici, per colpa tua. Da quasi 19 anni mi tratti così. Sono stanco di te. Io sono meglio di te, sono più buono, più giusto, più impegnato nella vita… ma tu non mi vedi così. Sai, questo è quasi tutta colpa tua… Tu gridi, urli, e non mi parli mai. Le tue sono sempre parole sbagliate, sono parole cattive, sono parole crudeli e io le odio, le odio tutte da morire.

Quel video l’hanno visto tutti... Io stavo solo scherzando… E ora l’hanno visto tutti. Tutti mi chiamano “checca” e mi sfottono, e fanno versetti quando passo loro accanto… Lo fanno da mesi, ormai… Ma questo non sarebbe stato nulla, nulla senza di lui, senza di te, Padre, senza di te che stamattina hai detto: “Vorrei che tu non fossi mai nato, sei la mia più grande delusione”. Mai nato, capisci? Io sono vivo grazie a te… E tu non mi vorresti vivo.
E la mamma zitta, ancora zitta.

Mamma, scusami, non sarebbe dovuta finire così… La tua unica colpa è non aver parlato, essere stata lì, zitta e ferma, lasciandogli fare e dire tutto ciò che voleva. Zitta, mamma… Sei stata zitta…. Mi sarebbe bastato un “Ti voglio bene” o un “Sono fiera di te” e tutto sarebbe stato diverso. Mi sarebbe bastata la tua voce… E invece silenzio.

Miki, piccola, dolce, bellissima e coraggiosa Miki. Grazie per avermi sopportato e supportato finora. Per aver creduto in me oltre ogni limite logico e umanamente comprensibile. Grazie per avermi dato tutto il tuo amore. Grazie per tutte le lettere che mi hai scritto, per tutte le frasi che mi hai dedicato, per quei dolci sussurri tra le lenzuola, per la magia che riesci a ricreare con foglio e penna. Io odio le parole, le parole mi uccidono, ma le tue le ho amate davvero. Solo, mi dispiace che non siano abbastanza per far tacere il male, per far tacere anche quel me che mi grida dentro. Io ti amo e sei per me l’unica gioia di questa vita. Ti amo da morire… Ti prego, perdonami, per non amarti da vivere per te.

Non posso continuare a vivere per gli altri e per me non so vivere. Non ci riesco. Non riesco a far prevalere la mia voce, non riesco a farmi sentire. Ho sempre pensato di essere un guerriero, di combattere ogni battaglia, di lottare fino a vincere. Mi sono sempre rialzato. Capita, però, che le ferite siano troppe. E che si muoia dissanguati. Ecco, io non ho più sangue. Sono prosciugato. Assurdo, sai? Tutto ciò che mi ferisce non esiste. Tutto ciò che mi accoltella, mi strozza, mi strangola… Non esiste. Sono suoni buttati lì, sono lettere, son parole… E io non sopporto il peso di questo niente.

Dio, per quanto io abbia sempre negato di credere in te, ora non saprei a chi altro rivolgermi. La notte mi fa paura e questa in particolare: se mi affaccio alla finestra, non riesco a scorgere nemmeno una stella. Per favore, dammi pace… Rendimi nulla, nulla è meglio di un fallimento.
Ti prego.
Sento la voce di mio padre: “Hai fallito ancora”.

Spero che voi tutti possiate avere una vita meravigliosa, è ora che io vada.

Buonanotte,

Giovanni


N.B.: i nomi utilizzati sono frutto di fantasia





1 commento:

  1. a parte mio padre che mi dice di essere un fallito, io mi sento esattamente così. Veramente pare che alle volte non ci sia scampo. "Le ferite sono troppe"è esattamente così! Sai è normale pensare a se stessi come quelli che alla fine, anche se feriti, ce l'hanno fatta. Nessuno pensa di se stesso che sarà uno dei tanti morti lasciati a terra, dimenticati dalla storia, ammassato tra altri cadavere. È strano pensare di se stessi come a chi è caduto dopo pochi colpi, forse uno. Nessuno pensa alla propria vita così. Tutti abbiamo quella narrazione dentro in cui ci proiettiamo nel futuro e raccontiamo della nostra battaglia e di come ne siamo usciti. La verità è che semplicemente non è così. Qualcuno deve pur essere il morto senza nome nelle storie gloriose di qualcun altro. Quel morto sono io, forse sei pure tu se sei arrivato qui come me.

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